martedì 19 febbraio 2013

Riflessione su Città comune - di Ferdinando Bertani

Era un po' che volevo dir qualcosa sull'idea di fare un'unica amministrazione tra Monfalcone, Ronchi e Staranzano. In linea di principio non ci vedo nulla di male, anzi, potrebbe essere ma nel modo di arrivarci io penso che le azioni finora espresse siano maldestre  e sbagliate, azioni a tavolino, ingegneria istituzionale, un banale modo (forse) di spender meno per amministrare ma non certo un modo per rappresentare i cittadini.
Le tre comunità in questione non sono realtà semplici, anzi sono anche abbastanza complesse da un punto di vista sociale.....
pertanto é necessario prima "costruire" la comunità e poi il contenitore che la governa. Quando anni fa, per risolvere il problema dei grandi agglomerati in Gran Bretagna hanno pensato alle new towns (città nuove) si son trovati con un qualcosa che non funzionava, avevano fatto il contenitore ma la comunità non c'era. Quando a Bologna costruivano il quartiere Pilastro, le cooperative emiliane hanno fatto un grande lavoro anche di partecipazione nella progettazione (lo ricordo perché all'università lo si studiava come esempio e lo si andava a visitare in corso d'opera) ma poi, per un principio di sostegno anche agli emarginati, quello é diventato un ghetto, un quartiere pericoloso, legato anche ad episodi di grave criminalità. Quando hanno costruito Rozzol Melara,tutti ricordano che inferno era diventato. I tre esempi sono accomunati dal fatto che sì era stato fatto un contenitore ritenuto tecnicamente giusto ma il contenuto non era stato preparato ad entrarci.
Dopo molti anni la comunità, sicuramente al Pilastro e a Rozzol, hanno trovato momenti e situazioni di aggregazione e piano piano il contenitore é stato "abitato" ma dopo un tempo di "sofferenza" e di gran difficoltà
Queste situazioni hanno cominciato a "pulsare" attraverso momenti di aggregazione, di cultura e di espressione in cui potersi riconoscere, anche nelle differenze
Ecco la strada per per portare ad aggregare i tre comuni. Una strada dove la cultura, gli eventi culturali e le espressioni delle tre comunità si possano fondere  e riconoscere, dove trovare un'identità comune  per poi, magari, dopo, diventare "quartieri" di un'unica identità.
 I "quartieri" possono anche rivaleggiare fra di loro, con agonismo, ma al richiamo unico dell'insieme  a difesa di un "attacco" esterno si sentono uniti, uniti come un'unica entità
Le operazioni di ingegneria istituzionale, invece, sostengono quel modo di essere cittadini dove ci si aspetta i servizi ed il funzionamento della comunità come in un albergo, come un "non luogo", come un posto dove transito e non lasciò niente di mio agli altri, dove, al massimo, dico buon giorno al mio vicino di casa quando non posso farci proprio a meno.
Ad una comunità si riesce anche a chiedere comportamenti solidali,  di "comunanza", di partecipazione, di visione di un bene comune.
Se la politica locale deve essere espressione di pura gestione (il miglior amministratore di condominio possibile) allora che si che a tavolino si mettono insieme tra comuni. Se, invece, si vuol davvero fare questa città comune allora bisogna cominciare a lavorare in questo senso, insieme, attenti alle stesse problematiche e con una costante consultazione sulle decisioni importanti ed un costante coinvolgimento delle tre popolazioni sui problemi comuni, un modo per "allenare" la gente a pensare in modo allargato. Così il nuovo Ente sarà riconoscibile a tutti e non sarà più una stupida imposizione dall'alto.

Ferdinando Bertani

2 commenti:

  1. Sono d’accordo su alcuni concetti, su altri meno.
    Non concordo nel paragonare la formazione della città comune (ente istituzionale) con gli esempi citati dalle New Towns inglesi fino al Rozzol Melara di Trieste. La prima è un’aggregazione che deve avvenire sul piano amministrativo e politico e il nuovo contenitore, in questo caso, sarebbe un contenitore immateriale che nulla ha a che vedere con i contenitori fisici e ben materici delle nuove città o dei grandi quartieri periferici “ghetto” degli anni ‘70-’80. Il concetto che sta alla base dell’idea della città comune non è quello di creare nuovi “luoghi fisici” dove inserire delle comunità che ora non esistono, ma al contrario di far corrispondere ad una avvenuta integrazione fisica urbana (la compenetrazione dei tre nuclei che già c’è) una unica istituzione di governo, un solo comune. La condivisione del medesimo contenitore fisico urbano, ma anche quella delle medesime risorse territoriali (industria navalmeccanica, economia del mare e dei trasporti, polo commerciale e dei servizi) impongono ormai la necessità inderogabile di dotarsi di una governance unificata, e non spezzettata come oggi. Ad amministrare questo “unicum” oggi ci sono 3 sindaci, 3 vicesindaci, 3 segretari comunali, 18 assessori e 65 consiglieri comunali con l’aggravante che molto difficilmente comunicano fra di loro, prova ne sia l’assenza di azioni sinergiche davvero significative. Il comune unico sarebbe gestito da 1 sindaco con una giunta di 8 assessori (1 solo segretario comunale) e basterebbero 20 consiglieri che insieme verrebbero a rappresentare l’unico “cervello pensante” sull’area vasta costituita dalla somma degli attuali tre territori comunali. Ormai la scala adeguata per affrontare sia la gestione ottimale dei servizi quanto quella delle politiche di valorizzazione e sviluppo economico travalica i confini comunali e deve fare riferimento ad ambiti omogenei definiti appunto ambiti di “area vasta”.
    Concordo sulla necessità di affrontare il tema dell’identità sociale e culturale dei tre nuclei urbani, che potrebbe essere un deterrente alla volontà di integrazione. Credo si debba precisare che l’anima bisiaca è il legante delle tre comunità, con lo stesso dialetto e le stesse tradizioni; le differenze che si possono trovare sono davvero sfumature al punto che parlare di tre comunità diverse mi sembra una forzatura, sebbene bisogna riconoscere le particolarità e più che altro il senso di appartenenza. Ma mi sembra particolarmente azzeccato il ragionamento dei "quartieri" che possono anche rivaleggiare fra di loro, con agonismo, ma al richiamo unico dell'insieme a difesa di un "attacco" esterno si sentono uniti, uniti come un'unica entità.
    Per citare una caso storico emblematico, attraverso il Palio i diversi nuclei urbani senesi pur uniti in una sola città amministrativa hanno saputo mantenere le proprie individualità dando origine ad una tradizione delle più famose e celebrate d’Italia. Qui da noi si potrebbe immaginare qualcosa di simile.
    Sono comunque dell’idea che un comune unico, più forte e autorevole sarebbe anche un elemento di rafforzamento della cultura bisiaca.
    Maurizio Volpato
    Associazione "CITTA'COMUNEper"

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